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Ordine e diversità

Ordine e diversità

di Maria Arcà

 

1. Noi... Utile conformismo

 

Dare ordine, mettere in ordine gli oggetti e i fatti della vita quotidiana... poterli sistemare e organizzare secondo i nostri criteri ci dà la sensazione di controllarli e di avere potere su di loro. Non accettiamo sempre volentieri l’ordine imposto da altri e non sempre riconosciamo un ordine nei modi di vivere diversi dal nostro.
Il linguaggio rappresenta, in ogni cultura, il grande ordinatore della conoscenza. Parlando delle cose si attivano le strutture logiche fondamentali, dalla classificazione agli ordinamenti, nelle loro inesauribili capacità di riferire il particolare al generale e viceversa. Insegnando a parlare trasmettiamo ai bambini il nostro modo ordinato di conoscere le cose, dando nomi che raggruppano per somiglianze e trascurano le differenze.
Il disordine non piace ed anche il naturale intrico biologico fa spesso paura, associato come è nella nostra cultura a idee di sporco e di pericolo. Eppure talvolta, quando ci sentiamo al sicuro, ne siamo affascinati, e lo cerchiamo come occasione per mettere alla prova le nostre capacità. Così, magari da turisti, accettiamo di confrontarci con un mondo naturalmente disordinato e almeno a parole (va tanto di moda!) dichiariamo di apprezzare le caratteristiche di un ambiente molto diverso da quello abituale.

 

 

campo ordinato sottobosco
Un campo ben ordinato con disordine marginale, limitato ai confini. Il disordine naturale... Sporco e forse anche pericoloso.

 



Viviamo la contraddizione per cui ci piacerebbe essere “unici” senza correre il rischio di essere troppo diversi, cerchiamo persone “uniche”... purchè siano abbastanza simili agli altri. Accettare la diversità culturale è difficile: non sempre riusciamo a stabilire relazioni con persone che consideriamo diverse ma, soprattutto, non siamo sempre disposti ad accettare di essere noi stessi considerati diversi. A parole ci dichiariamo aperti e disponibili ma nella vita quotidiana quanta individualità e diversità altrui, quanta molteplicità di idee e specificità di comportamenti diversi dai nostri siamo disposti a tollerare? quanta uguaglianza, somiglianza, omologazione... sono necessari per vivere in pace? Vorremmo che i nostri figli fossero particolari in tutto: eccezionali, meravigliosi, intelligentissimi... ma contemporaneamente li educhiamo a non essere diversi. Non si tratta di problemi individuali: la nostra società, la nostra cultura e il nostro linguaggio definiscono "classi" di omologazione a cui sia noi sia i nostri figli ci sentiamo obbligati ad appartenere. Conformandosi agli stereotipi si evitano critiche moleste e tutti consideriamo pericolosi i comportamenti devianti .
Così per varie ragioni (incapacità, bisogno sociale, routine...) la scuola, nonostante venga talvolta invitata a costruire “spirito critico” , si impegna a rendere i ragazzi conformi ad un modello ordinato e decoroso, possibilmente eliminando i troppo diversi.

 

2. La scienza... Ordine e regolarità

 

Nella avventura scientifica il controllo dell’uomo sul mondo sembra legato alla volontà (alla possibilità) di trovare un ordine in quanto accade. Fin dalle origini la scienza si è fondata sulla convinzione che i fenomeni dell’universo siano regolari e soggetti a leggi determinate che l’uomo poteva individuare; fin nel nostro Medio Evo queste regolarità provavano l’ordine e la perfezione della Creazione e la conoscenza si sviluppava, secondo alcuni, per rivendicare la razionalità di Dio: imparando a conoscere il mondo si cercava di avere accesso alle regole che Dio stesso aveva imposto al suo funzionamento.
A distanza di secoli, culture diverse hanno elaborato strutture logiche (come i sillogismi) metodi per pensare (Cartesio), procedimenti induttivi e deduttivi.... adatti a rendere esplicite le strategie di pensiero che garantissero l’accordo ordinato tra fatti e interpretazioni. Le categorie di causalità, di successione temporale e logica hanno contribuito a ordinare nelle spiegazioni i fatti e le ragioni del loro accadere.
Alla osservazione diretta della realtà si è affiancata la metodologia sperimentale che permette di riprodurre in maniera controllata quello che nel mondo avviene in modo “disordinato” e poco comprensibile: gli esperimenti tendono a mimare in tempi e in spazi osservabili processi e fenomeni che nella realtà si svolgono in condizioni che sfuggono al controllo, per analizzarne gli svolgimenti e trovare regolarità e regole.
La elaborazione matematica dei risultati, la precisione delle misure, l’esplicitazione delle relazioni tra variabili è diventato il prezioso strumento di cui la scienza si serve nel suo continuo tentativo di riduzione all’ordine.
La ricerca di nuove spiegazioni, l’indagine su altri fenomeni e la loro ricostruzione sperimentale, la scoperta di relazioni che rendono comprensibili nuovi fatti rappresentano l’aspetto innovativo nella costruzione di nuove conoscenze.
All’esplorazione cognitiva del nuovo segue la sistematizzazione del conosciuto: le nuove idee acquistano valore se i risultati sono generalizzabili, verificabili, riproducibili, validi nel tempo e nello spazio.... fino alle nuove interpretazioni.
Per esempio, la stessa teoria dell’evoluzione ha ed ha avuto difficoltà ad affermarsi non solo per l’evidente ridimensionamento dell’uomo nel sistema naturale ma anche per la difficoltà concettuale degli scienziati come della gente comune di ammettere processi di speciazione non finalizzati e determinati da eventi casuali spesso non verificabili sperimentalmente.
Anche per sistematizzare i processi di cambiamento si costruiscono prototipi e schematizzazioni che individuano in essi regolarità e causalità. Per esempio, osservando le dinamiche ambientali molti processi potrebbero essere considerati irreversibili; tuttavia si cerca di vedere nel loro svolgersi una sorta di stato stazionario interpretabile con categorie di equilibrio dinamico, per evitare di confrontarsi con un incontrollabile disordine.

 

3. A scuola... ordine e decoro

 

Spesso la vita e l’attività di ricerca degli scienziati viene presentata ai ragazzi in termini quasi eroici, guardando ai risultati e sottacendo gli insuccessi e i tentativi frustranti necessari per mettere a punto una sperimentazione efficace e ottenere dei risultati. Ma la scienza che viene loro insegnata è spesso ben lontana da qualunque indagine euristica e, anche quando propone attività sperimentali, non si discosta molto dalla presentazione ben sistematizzata di concetti e conoscenze “ordinate”.
Nominare è assai più indispensabile che vedere, fare o capire e, senza una esperienza che li sostenga, non solo i nomi restano privi di agganci e di riferimenti concreti ma si sovrappongono alla conoscenza e alla spiegazione dei processi a cui pure si riferiscono.
Schede e sussidiari sembrano compilati per bambini “d’appartamento” che vivono in luoghi in cui non accade nulla di quello che bisogna studiare sui libri: le nozioni, di conseguenza, sono prive di qualunque aggancio ad esperienze e a fatti che avvengono nella quotidianità.
E’ certo che l’abituale metodologia trasmissiva non aiuta i ragazzi a sentirsi parte del mondo che bisogna studiare in scienze, irrimediabilmente piatto e catalogato in maniera assai poco avvincente. Infatti, indipendentemente dai modi con cui vengono insegnati, gli stessi contenuti dei programmi appaiono lontani anni luce dalla vita e dagli interessi dei ragazzi di oggi. Le cose da studiare appaiono false e artificiose: basterebbe guardarsi intorno (e per fortuna i ragazzi non lo fanno) per scoprire la superficialità delle nozioni impartite e delle schematizzazioni proposte come vera verità scientifica; che non danno alcun accesso ai tanti e diversi “particolari” da cui la stessa schematizzazione ha origine.
Nella scuola dell’infanzia, non ancora completamente invasa da schede da compilare, è ancora possibile che i bambini usino i loro occhi e le loro mani per capire qualcosa del loro mondo e rappresentarlo in maniera accurata:

 

 

foglie alla sc. infanzia alberi alla sc. infanzia
Foglie e alberi disegnati dal vero da bambini della scuola dellinfanzia

 


Ma già nella scuola elementare il conformismo didattico toglie qualunque possibilità di pensiero o di rappresentazione originale e bisogna adeguarsi allo stereotipo con nomenclatura inclusa:

 

 

 

 

albero disegnato alla primaria
Un albero disegnato alla scuola primaria

 



Nei testi dettati dall’insegnante, l’antropocentrismo domina incontrastato e decenni di educazione ambientale sembrano trascorsi invano.

 

 

una pianta è... una pianta è... 2
Che cosè una pianta. Scuola primaria, Roma 2010

 


Compiti o dettati di questo tipo appaiono abbastanza frequentemente sui quadernoni di scienze dei bambini di seconda elementare, senza che il significato di verbi come “nascere”,“mangiare”,“respirare” sia mai stato adattato dal linguaggio comune a quello necessario per interpretare il sistema vegetale. Ma in terza, quando ormai queste nozioni sono state assimilate (o dimenticate)... appare la fotosintesi, dettata dalla maestra con altrettanta disinvoltura, ovviamente da imparare senza capire.


4. Quale insegnamento?


Le lamentele sulla scarsa preparazione degli insegnanti sono senza fine; ma i rimedi proposti sono sempre piuttosto inefficaci: altro nozionismo, altri saperi frammentari, altre sperimentazioni senza domande soggiacenti. Le strategie di formazione dovrebbero essere di ben altro tipo, capaci di guidare gli insegnanti ad avere accesso alle “idee grandi” che connettono i vari saperi disciplinari, ai “modi di ragionare” utili in diversi contesti, alle “strategie cognitive” che loro stessi e i ragazzi potrebbero usare per analizzare e comprendere diverse situazioni. La formazione sarebbe assai più significativa se sapesse proporre una scienza che si costruisse e si usasse contestualmente, attenta alla interazione tra saperi e uso dei saperi stessi. Ogni didattica, anche la più tradizionale, induce sistemi di valori e modi di pensare che non sono affatto neutri nei confronti della gestione sociale dello stare al mondo.
Nella nostra non-scientifica tradizione didattica, invece, l’insegnamento delle scienze è centrato su nozioni stabilite e ben definite, espresse in sedicente linguaggio scientifico cioè composto essenzialmente da nomenclatura scritta in grassetto e da formule da imparare a mente. La preparazione dell’insegnante si riduce ad un pensare per prototipi (il fiore, la digestione, le ossa lunghe e piatte...) da cui consegue un insegnare per prototipi: la varietà dei fatti e dei fenomeni viene ridotta alla unicità della interpretazione giusta codificata nei nomi delle classificazioni, nelle leggi (a cui i fatti devono obbedire...).
Chi non è in grado di creare credibilità si nasconde dietro l’omologazione per diventare credibile: infatti le conoscenze che entrano nella scuola veicolate dalle ricette “a prova di insegnante” (come quelle proposte da quasi tutta l’editoria scolastica) rappresentano lo strumento di un conformismo che distrugge la scuola: fa credere che sia veramente possibile insegnare in due tappe la fotosintesi o l’energia, mascherando con parvenze di credibilità scientifica dei percorsi che non hanno fondamenti culturali.
La varietà del mondo e la difficoltà di comprenderlo e spiegarlo potrebbe convincere gli insegnanti a rinunciare ad una concezione lineare del processo di insegnamento-apprendimento e lavorare con i ragazzi in un clima di fiducia reciproca per cercare di capire insieme, onestamente, quello che anche i libri di testo hanno difficoltà a spiegare. Proprio nella ricerca metodologica del cosa fare per capire l’insegnante può proporsi come un buon modello culturale per i ragazzi e probabilmente, uscendo dalla ipocrisia tradizionale di chi non sa ma finge di sapere, l’organizzazione di un diverso contesto educativo permetterebbe di costruire conoscenze più efficaci e durature.


5. Ma bisogna davvero omologare il pensiero dei bambini?

 

Come i vari sistemi di valutazione nazionale e internazionale dimostrano, anche la formazione scientifica dei ragazzi italiani lascia piuttosto a desiderare: sono in corso, attualmente, diversi progetti che tentano di proporre alle scuole un insegnamento sperimentale. Del resto, pur sapendo che le cose “vanno male” nessuno (e l’editoria per prima) ha il coraggio di proporre delle metodologie didattiche e delle proposte di lavoro che si allontanino dai percorsi triti e ritriti, la cui inefficienza culturale è già stata ampiamente dimostrata. Purtroppo, l’innovazione nell’insegnamento delle scienze non consiste nell’applicare scrupolosamente un “metodo scientifico” ma piuttosto nel creare un atteggiamento di curiosità e interesse verso le cose che succedono al mondo.
Stimolare i ragazzi a fare e a farsi domande può essere pericoloso o almeno fastidioso, soprattutto se le insegnanti temono di non sapervi rispondere. Nel laboratorio (quello per fare gli “esperimenti” descritti dal libro o da una qualche guida didattica) non sono certo i ragazzi a manifestare curiosità o a porsi domande: ci pensa l’insegnante che, in un processo totalmente autistico si dà pure le risposte...
Eppure, proprio le vere domande dei ragazzi possono diventare un buon avvio a mettere in disordine le conoscenze tradizionalmente organizzate; e il laboratorio di scienze potrebbe servire proprio a costruire un atteggiamento mentale di ricerca e diventare l’ambiente adatto per trovare risposte a domande realmente poste, per dimostrare spiegazioni pensate, per dare concretezza alle varie idee, per cimentarsi col possibile e l’impossibile e per dare forme controllate ad una realtà elusiva ma sempre “a misura di bambino”.

 

 

raccolta di erbacce studio di erbacce
Chi sa cosa "ci danno" le erbacce da cui i bambini imparano a riconoscere le diversità sul campo per poi analizzarle con attenzione in classe?

 

 

 

Impegnati in una sperimentazione che li interessi, ragazzi diversi pensano, capiscono ed elaborano in modo personale, ciascuno col proprio stile cognitivo. È facile accorgersi che, quando nascono dall’esperienza, le idee e le interpretazioni dei ragazzi sono sempre un po’ giuste e un po’ sbagliate: il compito dell’insegnante diventa quello di metterle a confronto e, senza omologarle, farle convergere verso opinioni condivise.
Per colmare l’immensa distanza tra l’esperienza di vita (che anche i bambini dell’infanzia hanno) e le conoscenze stereotipate che bisogna acquisire, prima che i ragazzi siano costretti a studiare in bell’ordine il sapere accumulato dalla scienza nel tempo bisognerebbe cercare idee e spiegazioni che mettano ordine in problemi effettivamente presenti, e riuscire ad introdurre in classe delle realtà che si presentino ai ragazzi sufficientemente disordinate e ambigue da far venire loro la voglia di sistematizzarle e di capirle.

 

Maria Arcà

Roma, 15 aprile 2010